Ho perso i punti di riferimento, in Lesotho.
Immaginavo monti alti e piatti e grandi rocce rosse, spoglie e desertiche, secondo lo stile dell’Africa che conosco. Invece, la terra è rossa, sì, ma è costellata di fichi d’India, ginestre e fiori di ciliegio. Giallo profumato, rosa delicato e verde pungente. Ma che Africa è questa?
Anche le strade cambiano. L’asfalto lascia spazio a sassi, solchi, buche. Salite aggressive si alternano ad altrettante vertiginose discese che vanno proprio dentro a questa terra, la seguono, senza forzarla ad essere altro di diverso da ciò che è.
E le persone. Sbucano persone da ogni angolo, tantissime! E sorridono, tutte.
Durante la nostra camminata, in particolare, stringiamo mani, scambiamo sorrisi, scattiamo foto, gridiamo saluti. Come star sul tappeto rosso.
I bambini ci corrono incontro: “Mucon, mucon! I bianchi, i bianchi!”. Hanno gli occhi vivi, brillanti e curiosi. Mi sento un’ospite da tanto attesa.
Michelle, piccola mammina, arriva con un orsetto legato alla schiena, come le grandi fanno con i propri figli. Elizabeth si avvicina, vezzosa, per farsi ammirare con il suo ombrellino rosso con cui si ripara dal sole. David, più schivo, gioca con la sua macchinina costruita con il filo di ferro e ci guarda di nascosto, da sotto la sua coperta, che fa da vestito. Un bimbo più piccolo, si avvicina al mio pranzo e mi chiede: “Cos’è questo?”. Non ha mai visto il formaggio. Rimpiango di non aver pensato a dei regali.
Gli adulti ci salutano con una mano e continuano i loro lavori. Lavano i panni al fiume, setacciano il mais, spingono verso casa le pecore e le mucche, raccolgono le fascine. Qualcuno, più coraggioso, ci chiede di scattargli una foto per vedersi sullo schermo.
Al tramonto, arriviamo al villaggio che ci ospiterà per la notte; al nostro villaggio, mi viene da dire, perchè nemmeno per un attimo mi sono sentita una intrusa, a casa di altri.
Rampi, la nostra guida, mi chiede se voglio cucinare insieme a lui. Ovviamente non ho nessuna intenzione di rifiutare e quando, per sbaglio, ci siamo ritrovati a mettere il pepe al posto del sale nell’acqua che bolliva, ci siamo guardati, abbiamo riso e siamo diventati amici!
Abbiamo cucinato a lume di candela: per me una cosa tremendamente romantica ed emozionante, per lui la normalità necessaria. Si muove così veloce e sicuro in cucina, che io mi limito a sorreggere la candela: non serve altro. E chiacchiero, affascinata dalla magia che rende il mio strampalato inglese comprensibile a lui e viceversa. “Rampi non si stanca mai, Rampi non si ferma mai”, mi dice. Non ha nemmeno mai fame, mi dice, quando lo invito a sedersi a tavola con noi, di fronte a quello che capisco essere un cenone di Natale, rispetto a quello che mangiano di solito. Non ci credo che non ha fame, ma non riesco a convincerlo. Solo quando noi siamo tutti più che sazi e mentre rassettiamo la tavola, Rampi mi chiede sottovoce se può dare ciò che è avanzato ai suoi bambini. Le mele, soprattutto, che loro adorano.
Le mele… che costano troppo. E che lui stesso, ha portato tutto il giorno per noi, a dorso di cavallo, fin quassù. L’ho guardato negli occhi, muta, ascoltando la pulita e accogliente onestà di tutto questo.
Più tardi, intorno al fuoco, ci raccontiamo chi siamo e lo facciamo anche scambiandoci canti tradizionali.
Noi dobbiamo ricorrere a Romagna Mia e all’Inno di Italia… Ma c’è così tanta libertà nell’aria da non farci sembrare fuori luogo!
Quando noi ci alziamo per prepararci a dormire, loro continuano a ridere e scherzare, con semplicità, adulti e bambini insieme. Non hanno niente di ciò che abbiamo noi, ma come si guardano negli occhi… In quelle risate e in quegli occhi, non c’è ansia di mostrarsi come si è, non c’è paura di ciò che potrà capitare o delle emozioni che potremo provare. Non c’è nemmeno un’ombra di diffidenza verso di noi, i bianchi. Non c’è neanche l’idea di essere noi e loro contro, qualcuno più forte di qualcun altro. C’è soltanto un caldo posto vicino al fuoco per tutti.
Adesso riconosco la mia, sempre più mia, Africa e, piena di niente, mi addormento nella “mia” capanna, mentre li ascolto ridere.
Parole e Immagini di Chiara Ciaschini
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