LA NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI le ore sembrano anni. La notte prima della partenza per un cammino le ore sembrano secoli. E se la sveglia non suona? E se sbaglio il punto d’incontro? E se mi dimentico qualcosa?
La sveglia ha suonato. Il punto d’incontro l’ho azzeccato. Il biglietto del treno l’ho dimenticato. 2 su 3…come partenza direi buona.
Un paio di volti conosciuti…o meglio conoscenti…formazione 5+4 (perché un quinto ci aspetta al ciglio dell’autostrada…espressione per niente metaforica!)
Si parte verso Bologna. L’autostrada è vuota…e anche la tangenziale…sono le 7 di sabato mattina (la nostra guida è lungimirante e gli piace tenerci sul pezzo…anche se abbiamo gli occhi piu assonnati che mai!).
“Tu parti con noi?” in autobus agli sconosciuti con gli zaini da viandanti c’e chi azzarda un approccio un po’ allegro…perché l’euforia frizzantina è già nell’ aria.
Ritrovo. Pausa pipì (il cielo ha graziato questo gruppo di 21 anime di sole 6 donne!). Presentazioni. Qua la zampa Maia.
SI PARTE.
BOLOGNA dà il calcio d’inizio sotto un caldo e afoso sole (nel frattempo sono arrivate le 9 e gli occhi iniziano ad avere un aspetto più umano). PRIMA TAPPA SAN LUCA…conquistata a suon di permesso perché circa 800 ragazzini avevano invaso i portici “raga siamo in minoranza dobbiamo per forza superarli” (la voce fuori campo della lungimirante guida di cui sopra).
Tappa foto di partenza e poi in discesa verso la periferia bolognese. Sotto il sole. Sull’ asfalto.
Chi sei? Cosa fai? Da dove vieni? Come hai conosciuto camminate? “ci siamo tutti?”
Una corte…dell’ ombra. Una panchina. Il detto non detto della pausa pranzo. E poi asfalto sole afa.
Per un po’ di chilometri. Per un po’ di parole. E PER UN PO’ DI SILENZIO.
Il tono è allegro, è il suono delle voci che non si conoscono. Il suono dell’ euforia nel fare una cosa cosi pazzesca insieme ad un gruppo di sconosciuti. La voglia di affrontare paure e perplessità. “ma tu cos’hai messo nello zaino? Perché nella lista c’era un collo di pile che ci sono 40 gradi all’ ombra?”
LE PAROLE SUONANO E I PIEDI CAMMINANO. Il cammino di gruppo è cosi…o almeno inizia cosi.
Bosco. Salite e discese. Ma che ore sono? Quanto manca? Troveremo l’acqua? Quanti km abbiamo fatto? (Da aggiungere alla lista delle cose da portare…la lista delle domande da fare).
E poi una distesa verde. Un casolare immerso nel nulla. Anzi no. Nel silenzio…nella pace…avvolto dalla luce del crepuscolo. Un crepuscolo caldo. Che sa di estate e di campagna.
Tre teli. Tre donne che fanno yoga. Un canto. Il sole che tramonta. La doccia. La prima cena da pellegrini.
Nota 1: dal latino: peregrinus straniero, composto di per al di là ager campo.
Da oltre i campi fuori dalle mura della città arriva qualcuno: un pellegrino. Uno straniero, presumibilmente un viaggiatore umile. Forse viaggia per giungere a qualche meta santa, forse viaggia per cercar fortuna, forse viaggia fuori per arrivare a qualcosa dentro.
Continuiamo a scambiare parole, battute, risate, punzecchi. Perché dopo i primi 20km il gruppo si è già compattato.
Si dorme perché la sveglia suona alle 6. La colazione è un insieme di buongiorno, di occhi aperti a metà di euforia per la partenza.
Iniziamo a prendere confidenza con lo zaino. Dove potremmo abbandonarlo per essere piu leggeri? Da nessuna parte. Non perche abbiamo bisogno di ciò che c’è dentro (perche scopriremo che dove non arrivo io…arrivi tu!) Ma perche abbiamo bisogno di sapere che quella casa momentanea che ci portiamo dietro non ci lascerà. Passo dopo passo trova la sua forma sulla schiena. Passo dopo passo si alleggerisce di un etto per poi appesantirsi di 5. PERCHE’ LO ZAINO RAPPRESENTA LA VITA. Chi cammina lo sa. La zavorra. La fatica. La gioia. La leggerezza. Tutto raccolto in un unico spazio. In un unico fagotto.
Inizia il bosco. Inizia il silenzio. Interno ed esterno. Inizia la fatica. Quella che riapre vecchie ferite. Vecchi pensieri. Inizia la teoria del tempo. Inizia la legge di Darwin. Inizia il cammino.
Inizia la fatica della mitica salita su asfalto di qualità verso città du mundi… MONZUNO.
Altroché Bologna o Firenze…questa era la meta da conquistare. L’asfalto più duro e rovente di sempre. La fame e la sete. Mi arrendo? No dai manca poco. Ti posso credere? Silenzio. In due si fa meno fatica. O forse si spera più intensamente che l’arrivo sia vicino. E allora quello sperare viene ripagato da un paese con quattro case e due bar e un alimentari che ci chiude la porta sul naso. Chi una pizza…chi un’insalata..chi un gelato. Monzuno l’abbiamo portata a casa in un qualche modo. E non la scorderemo. Perché lei ci ha regalato le prime vesciche.
Rincipriato il naso si parte perché la meta non è ancora raggiunta. E quando la raggiungi l’unica cosa che ti va di fare è bere una birra fresca. Forse poco pellegrino da parte nostra…ma noi siamo pellegrini 3.0. GPS a destra , birra a sinistra.
I compagni si vedono nel momento del bisogno. Dopo una telefonata che ti manda in frantumi l’anima, quell’abbraccio sudato e puzzolente è la cosa più dolce che si possa ricevere. E se hai viaggiato già per qualche km insieme non ti serve nemmeno chiederlo a voce. Basta uno sguardo. Basta una lacrima non sgorgata per far si che quei cocci vengano raccolti da un compagno di viaggio. Poi ci pensa la birra e ci pensano le tue compagne di stanza a medicare le ferite.
“Raga oggi è tosta.“ voce della guida. Traduzione per i comuni mortali: se non avete polmoni d’acciaio siete spacciati. Si perché la mattina alle 8 l’unica cosa che si sogna dopo un caffé è una salita spezza fiato…gambe…piedi…parole…polmoni. Il kilometro verticale a noi ci fa un baffo. Noi ne facciamo 8! Perché chi l’ha dura la vince. E noi vinciamo. Perché siamo un gruppo.
Un gruppo che si ferma per prendere fiato. Per guardare la vastità davanti. Per fare due foto. Per maledire quel sassolino nella scarpa, che sparisce al segnale di cheeeeeese!!!! Perché ogni foto scattata porta un sorriso e quel sorriso si è portato via qualche km di fatica e la ripartenza è una nuova partenza.
La Via degli Dei è uno dei pochi cammini non cristiani non fatto per espiare qualche peccato, per chiedere qualche grazia. È un cammino voluto da chi da Bologna voleva andare a Firenze e non aveva il frecciarossa che in 35 minuti copre 140km. Degli Dei perché i nostri predecessori avevano già dato nomi molto poetici alle belle montagne davanti a noi…
Vastità che ti mette a dura prova quando sale su e scende giù…ma poi per farsi perdonare ti ripaga con dei boschi incredibili e per chi crede a fate gnomi folletti e unicorni è il caso di andarci a farci un giro.
Le ultime tre tappe sono state strepitose…piene di energia cosmica…che ha permesso ad ognuno di noi di arrivare alla propria destinazione.
Si, perché LA DESTINAZIONE non è Firenze. La destinazione è quel luogo dentro di noi che ci ha portati li. Che ci ha portati a percorrere quei chilometri invece di andare al mare. Quella destinazione che altro non è che una nuova partenza. Per nuovi orizzonti. Per nuove amicizie. Per nuovi amori. Per una nuova Vita. E ha poca importanza se quella nuova Vita si sviluppa dentro quella vecchia….Perché una cosa è certa…chi è tornato non è lo stesso che è partito.
Ah certo…LA RELATIVITA’ DEL TEMPO.
Cinque giorni sono sembrati un mese. Al secondo giorno sembrava di essere in cammino da una settimana…è il viaggio a piedi. È metterci 12 ore per fare gli ultimi 40 km e sentirsi in cammino da una vita.
Perché poi…in cammino da una vita ci siamo già.
“Tutti sanno che i sensi possono ingannarci. Quando osserviamo una lunga strada diritta, per esempio, abbiamo l’impressione che essa si restringa in lontananza, ma non ci sogniamo affatto di confondere questa sensazione con la realtà. La relatività fa la stessa operazione: scarta tutto ciò che dipende dal punto di vista, e conserva ciò che resta costante in qualunque condizione
La teoria della relatività afferma che la velocità dell’osservatore influenza anche la percezione del prima e del dopo, e dunque che lo scorrere del tempo non è universale.”
di Angela Casadei
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